Quando si parla di diete proteiche, o più in generale di proteine, sorgono spesso molti timori e molte perplessità sui potenziali effetti nocivi per la salute, in particolare quando si parla di integratori a base proteica.
Nella gestione delle proteine che si assumono con la dieta è innanzitutto importante inquadrare il soggetto a cui ci stiamo rivolgendo. Le richieste sono infatti diverse se parliamo di soggetti sani, atleti o soggetti affetti da particolari condizioni cliniche.
Le diete su base proteica, come ad esempio la dieta chetogenica, sono diventate molto diffuse soprattutto negli ultimi anni, in quanto consentono, attraverso la limitazione nell’assunzione di carboidrati, di ottenere rapidi cambiamenti nella composizione corporea favorendo il dimagrimento. Quando tali diete vengono però adottate in maniera indiscriminata, senza alcun tipo di monitoraggio da parte di una figura esperta e competente, si possono incorrere in seri rischi per la salute.
Qual è il giusto equilibrio?
Le proteine sono macronutrienti essenziali per il nostro corpo quando assunte nelle giuste quantità, ossia fino a quando il cosiddetto bilancio azotato viene mantenuto stabile dal nostro organismo. In particolare, si definisce bilancio azotato il rapporto tra l’azoto introdotto attraverso l’assunzione di proteine e l’azoto che viene eliminato attraverso le urine, le feci, la desquamazione, la sudorazione, ecc.
In condizioni normali, il bilancio azotato è in equilibrio: tanto azoto viene introdotto con la dieta, tanto ne viene eliminato dal corpo. In alcune condizioni, come ad esempio durante l’accrescimento, la gravidanza, l’allattamento o quando l’attività fisica è particolarmente intensa la sintesi proteica aumenta per far fronte alle richieste anaboliche e pertanto il bilancio azotato risulta positivo.
Si parla invece di bilancio azotato negativo quando l’apporto proteico con la dieta è limitato, ad esempio in seguito al digiuno. Quando tale condizione persiste si può incorrere in un vero e proprio stato di malnutrizione proteica.
Quante proteine?
Le linee guida suggeriscono un apporto pari a circa 0,6-0,8g di proteine per kg di peso corporeo. Per cui, ad esempio, un soggetto sano di 70Kg dovrebbe assumere all’incirca 60g di proteine al giorno.
Quante proteine contengono gli alimenti? Ecco qualche esempio:
- 100g di petto di pollo: 23g di proteine
- 100g di manzo magro: 21g di proteine
- 100g di uova di gallina: 12,5g di proteine
- 100g di filetti di merluzzo: 17g di proteine
- 100g di yogurt greco magro: 10,5g di proteine
- 100g di fagioli secchi: 23g di proteine
- 100g di quinoa: 14g di proteine
Legumi e cereali, nello specifico, non contengono proteine ad alto valore biologico in quanto non forniscono all’organismo tutti gli aminoacidi essenziali.
Come già accennato, l’apporto proteico può modificarsi in base al soggetto in esame.
Quando si parla di atleti non si osservano particolari problemi quando l’assunzione proteica raggiunge intervalli pari a 1,2-2,8g/kg di peso corporeo in quando tale surplus proteico ha un destino metabolico specifico legato all’anabolismo muscolare, al recupero muscolare, al supporto del sistema immunitario, ecc.
Anche nei soggetti sani con stile di vita sedentario le diete iperproteiche non hanno effetti negativi purché vengano controllate e monitorate e non vengano mantenute per periodi di tempo troppo prolungati.
In questo caso è però necessario fare attenzioni alla fase di transizione tra una dieta a basso contenuto proteico e una dieta a più alto contenuto proteico. Sarebbe infatti più opportuno modificare lentamente l’assunzione di proteine per un periodo di tempo moderato.
Al contrario, in soggetti affetti da particolari condizioni cliniche come ad esempio l’insufficienza renale, diete iperproteiche possono avere effetti collaterali.
Il monitoraggio in questo caso può avvenire attraverso appositi esami ematochimici. In particolare, un valore da tenere sotto controllo è la cosiddetta velocità di filtrazione glomerulare (EGFR) con valore di riferimento pari a 125ml/minuto. Altri valori da monitorare sono ad esempio: la proteinuria, l’emoglobinuria, la creatinina, l’urea, l’acido urico, ecc. Questi parametri sono fondamentali per monitorare lo stato di salute renale in quanto i sintomi associati all’insufficienza renale sono molto difficili da riconoscere e identificare se non negli stadi più avanzati della patologia.
In tali casi la correzione nutrizionale attraverso una dieta ipoproteica consente di rallentare la progressione della malattia preservando la salute dei reni.
Proteine e fegato
Gli studi non hanno ad oggi dimostrato come una relativamente normale assunzione di proteine sia dannoso per il fegato. Nel caso di patologie epatiche, come la cirrosi, si raccomanda una riduzione dell’assunzione di proteine a causa della possibilità di accumulo di ammoniaca nel sangue.
Integrazione con aminoacidi
Gli aminoacidi sono i costituenti delle proteine e la loro assunzione agisce direttamente a livello cellulare dove vengono utilizzati a supporto della sintesi proteica (a supporto della produzione di proteine muscolari, ma anche proteine del sistema immunitario, ormoni, ecc.). Si tratta dunque di veri e propri ricostituenti cellulari che vanno impiegati, come per tutti gli integratori, in maniera adeguata e ponderata.
Le diete del futuro saranno sempre maggiormente orientate verso l’impiego di una specifica integrazione, come quella con aminoacidi essenziali, e una riduzione nel consumo di proteine di origine animale.
La letteratura scientifica sottolinea, infatti, come la fonte proteica ha una sua rilevanza: esiste una forte associazione tra il consumo di proteine di origine animale, in particolare carni rosse e processate, e l’insorgenza e la progressione di patologie renali croniche in maniera dose-dipendente. Il consumo di queste fonti proteiche aumenta infatti ad un aumento del rischio di albuminuria e a una riduzione della velocità di filtrazione glomerulare.
Uno studio scientifico, in particolare, ha evidenziato come la sostituzione di una porzione di carne rossa con una porzione di una proteina vegetale, come i legumi, è stata associata a una riduzione fino al 62,4% del rischio di insufficienza renale cronica.